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Kangiten
ambito giapponese
statua
1601 - 1800 - XVII-XVIII
B-1147
Unità di misura: cm; Altezza: 10.3; Diametro: 4.2
Bronzo a fusione piena, con patinatura scura
Kangiten, la forma buddista di Ganesha, il dio indù della fortuna che ha il potere di rimuovere gli ostacoli, è riconoscibile dalla sua testa di elefante.
Il culto di Kangiten giunse in Giappone tra l'VIII e il IX secolo dalla Cina assieme al buddhismo esoterico, che comprende molte divinità di origine indiana. In questa fase Kangiten era rappresentato come un'unica divinità con diverse paia di braccia, simile per l'appunto a Ganesha.
Durante il tardo periodo Heian (794-1185) comparvero però immagini di coppie di Kangiten (Sōshin Kangiten) in cui due figure antropomorfe dalla testa di elefante, un maschio e una femmina, si abbracciano; un'iconografia totalmente assente nella tradizione indiana.
I Kangiten abbracciati rappresenterebbero una storia raccontata in vari testi buddhisti, dove la divinità malvagia Vinayaka, altro nome di Ganesha, viene pacificata da Kannon dagli undici volti, che trasformatasi in una bella donna, si unisce a lui, con lo scopo di metterlo sulla giusta via che porta alla comprensione delle verità buddiste. Kangiten, come l'indiano Ganesha, era quindi inizialmente visto come un dio malevolo, creatore di ostacoli. Una volta placato da Kannon diventa, al contrario, una divinità benevola. La piccola scultura raffigura due figure antropomorfe dalla testa elefantina. La femmina ha le punte dei piedi sopra quelle del maschio, simbolo della sottomissione della natura malevola di Vinayaka a opera di Kannon. Le rappresentazioni di Kangiten più comuni sono piccole statuette in metallo che venivano impiegate in rituali in cui veniva versato dell'olio sulle immagini; questa statuetta serviva probabilmente proprio per questo genere di rito. Le statuette venivano poi conservate all'interno di una custodia cilindrica e celate alla vista dei fedeli. Quelle di Kangiten sono infatti immagini segrete, non mostrate al pubblico per via del loro forte significato erotico e sono quindi spesso conservate dai templi giapponesi come "Buddha nascosti" (hibutsu).