Salomè offre a Erodiade la testa del Battista (circa 1630)

Salomè offre a Erodiade la testa del Battista (circa 1630)

Clicca qui per visualizzare l'immagine

Autore/ Manifattura/ Epoca:

Andrea Ansaldo (Voltri, 1584 - Genova, 1638)

Tecnica e misure:

Olio su tela, cm. 139 x 127,5

Provenienza:

Dal 1945 nelle collezioni proveniente dal distrutto monastero di San Silvestro a Genova

Collocazione:

Genova, Musei di Strada Nuova - Palazzo Bianco, inv. PB 513

Provenienza:

Dal 1945 nelle collezioni proveniente dal distrutto monastero di San Silvestro a Genova

Artista di grande peso nel panorama della prima metà del Seicento a Genova, Andrea Ansaldo ebbe un iter pittorico complesso e articolato.
Prendendo le mosse da modelli cambiaseschi, si volse alla patetica drammaticità  maestri lombardi (Cerano, Morazzone e Procaccini) ben noti all’ambiente genovese, fu influenzato dalle presenze di Rubens e Van Dyck e, passando attraverso gli apporti toscani di Paggi, Sorri e Passignano, giunse alla maturità artistica alla fine del terzo decennio.
Il dominio di una tavolozza chiara e luminosa e le maestose scenografie che, pur nella complessità dell’impianto prospettico, diventano ariose e leggere, mantenendo un solido equilibrio compositivo, testimoniano, in questa fase, un’approfondita meditazione sulla grande pittura veneziana del Cinquecento e, in particolare, di Paolo Veronese.
A questo periodo della sua produzione (circa 1630) è da ricondurre questo dipinto, in cui il sapiente uso della prospettiva è funzionale al racconto. In secondo piano, infatti, è relegato l’antefatto del soggetto, cioè la decollazione del Battista, mentre in primo piano Ansaldo ha rappresentato il momento in cui Salomè, ottenuta dal boia la testa del santo, la consegna alla madre Erodiade, che, con un pugnale – uno spillone per capelli secondo la fonte – trafigge la lingua di Giovanni, dinanzi a Erode e agli altri commensali inorriditi.
Questo episodio, di cui i Vangeli non fanno cenno, è tratto da un passo di san Gerolamo (Hieronimus, Apologia aversus libros Rufini, III, 42), che lo propose come esempio per mostrare a quanto possa condurre il desiderio di far tacere una lingua che pronunci scomode verità.