In viaggio con il Capitano alla Guerrazzi
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Salotto turco
ambito europeo
Parvis, Giuseppe
ambiente
2004 - 2004 - XXI
CDA 2543-2564 e 2628-2819
assemblaggio
Il salotto turco del Capitano d’Albertis è la rievocazione romantica di un mondo nomadico medio-orientale che affascinava l’Occidente dell’epoca, come documentano molti salotti “arabi”, “moreschi”, “indiani” o “turchi” italiani, europei e nordamericani. Questo mondo affascinava anche Enrico A. d'Albertis, almeno dal 1869, quando su invito del Khedivè dell’Egitto e del Sudan, ha partecipato alle celebrazioni per l’inaugurazione del Canale di Suez, dove “un mondo di gente, dai più svariati costumi, si urtava, si pigiava negli stretti meandri, tra tende e tendali”, e dove “tube, turbanti, fez e tarbush, stifelius e kaftan, bournous e galabie si sfioravano, si confondevano in comune reciproca armonia”. Non a caso infatti a soli venticinque anni sarà lui stesso il primo comandante italiano a condurre un’imbarcazione italiana attraverso il Canale di Suez e nello stesso anno 1871 sarà presente al Cairo alla prima rappresentazione dell’Aida. Probabilmente ebbe un ruolo nella ricostruzione del salotto anche l’ebanista Giuseppe Parvis, attivo con il suo stabilimento al Cairo, dove il Capitano lo visitò, dopo le sue grandi prove nelle esposizioni internazionali di Parigi, Vienna, Filadelfia e per finire all’Esposizione Italiana di Milano del 1881.
Lo stesso uso dei tessuti per modellare gli ambienti, come il tendone da soffitto e l’affaccio di questo salotto su uno spazio esterno, rivela la familiarità del capitano con il linguaggio architettonico dei mondi arabi che qui vengono evocati, in continuo bilico tra neogotico ed esotico, tra copie e originali. Il Salotto Turco è una sala speciale della dimora del Capitano d’Albertis, che rappresenta il fascino per l’esotico diffuso a fine Ottocento.
Sotto il soffitto a vela della stanza, che simula una tenda, ci appaiono morbide sedute, tavolini a traforo dipinti, sciabole fiammeggianti, stipi dorati e mobili ad uso camino, sandali ricamati in filo di seta, porta messaggi, faretre in pelle e gioielli luccicanti tra vasi giapponesi, uova di struzzo, narghilè e bruciaprofumi: sono in parte acquistati sul posto, in parte ordinati su cataloghi di mobili dell’epoca, trovati nella sua biblioteca, e in parte commissionati dal Capitano in stile “orientale” per materializzare atmosfere, suoni e odori esotici, grazie a contaminazioni arabe, cinesi e giapponesi.
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