Il fondo di ritratti su carta cerulea di Ottavio Leoni (Roma 1578-1630) conservato nelle collezioni civiche genovesi conta ben 50 fogli ed è certamente di grande rilievo per qualità e per varietà cronologica: si tratta, infatti, di disegni di alto livello esecutivo, la cui realizzazione si può scalare nell’arco di tutta la carriera di ritrattista del maestro, tra la fine del Cinquecento e i primi trent’anni del Seicento. Assai vario è anche il ventaglio di personaggi che i ritratti documentano: un vivissimo spaccato della società romana di inizio Seicento.
La ricerca storico-artistica e le scritte sui fogli (alcune autografe, altre collezionistiche, e talora parzialmente sbiadite e tagliate) hanno permesso in alcuni casi di dare un nome alle figure "fotografate" da Leoni: nel fondo genovese sono, tra i molti esempi possibili, ritratti di nobili, come Vittoria Caetani dell’Aquila d’Aragona (inv. D2427), il marchese Paris Pinelli (inv. D2414) o ancora Alessandro VII Sforza Duca di Segni (inv. D2422); ritratti di principi e principesse, come Maria Felice Peretti (inv. 2445) o il Principe di Castiglione (inv. D2439); di porporati, come Monsignor Gerolamo Grimaldi, cardinale di Trinità dei Monti (inv. D2434); ma anche di personaggi di diversa estrazione sociale, in vista nella Roma del tempo, come il compositore e organista Paolo Quagliati (inv. D2410).
Vi sono poi volti rimasti "anonimi", sia di aristocratici, sia di umili popolani e popolane: si citano, a titolo esemplificativo, i fogli con Ritratti di un uomo e di una donna (inv. D2412) o quelli con Un monaco e un bimbo (inv. D2413), raffigurati singolarmente e poi sistemati a coppie entro un unico passepartout di carta azzurra con elegante profilo dorato da un collezionista tra Sette e Ottocento.
I fogli a Genova appartengono a diversi momenti dell’attività di Ottavio Leoni: vi sono ritratti più antichi, databili ancora sullo scorcio del Cinquecento e caratterizzati da contorni più marcati e continui, più insistiti, unicamente delineati a "matita" nera (ne è un esempio il Ritratto di giovane uomo (inv. D2420); altri in cui al tratto di matita nera è affiancato il gesso bianco, come nel caso del celebre Ritratto di Vincenzo Gonzaga duca di Mantova (inv. D2440); altri, infine, databili all’ultima fase dell’attività dell’artista, tra secondo e terzo decennio del Seicento, in cui vi è un utilizzo più sfumato delle matite rosse e nere e del gesso, con più delicati passaggi e soffuse ombreggiature colorate: a questo momento appartengono, ad esempio, il citato Ritratto di Lorenzo Gioeni Principe di Castiglione (inv. D2439) o ancora due Ritratti di un uomo e di una donna, montati in unico passepartout (inv. 2412), in cui l’uso della matita rossa è fortemente caratterizzante.
Alcuni dei disegni del Gabinetto Disegni e Stampe di Palazzo Rosso - che arrivano tutti in collezione attraverso il Legato di Marcello Durazzo alla biblioteca civica nel 1848 - recano la scritta “Ulisse Aldrovandi 1799”, interessante indicazione di una precedente provenienza dalle raccolte del conte Ulisse Aldrovandi, mecenate, collezionista e dilettante di pittura, della famiglia Aldrovandi Marescotti di Bologna. L’Aldrovandi, Accademico di Belle Arti insieme al fratello Carlo Filippo (1763-1823), era in contatto con artisti e letterati della sua città e aveva costituito una sorta di Accademia nella sua stessa dimora, dove aveva riunito dipinti - in particolare nordici - ma anche disegni, stampe e libri d’arte.