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Titolo dell'opera:

Gioco del Biribis

Acquisizione:

Matteo Luxoro 1945 - legato

Ambito culturale:

manifattura genovese

Tipologia:

gioco del biribis

Epoca:

1701 - 1800 - XVIII

Inventario:

M.G.L. 220

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 66; Larghezza: 91

Tecnica:

olio su tela

Descrizione:

Come rivelano l'emblema della Repubblica e le armi di famiglie locali, quali i Doria e gli Spinola, il gioco proviene da ambito genovese, dove era molto diffuso nel XVIII secolo. Sulla cartella in tela, che originariamente veniva conservata arrotolata intorno alle assicelle di legno fissate sui lati, sono dipinte 66 caselle quadrate, in ognuna delle quali sono rappresentate figure allegoriche, come la Fortuna o la Vanità, animali, frutti, maschere della Commedia dell'Arte e personaggi vari, oltre ad armi araldiche di famiglie genovesi.

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Titolo dell'opera:

Secchio

Acquisizione:

sec. XIX fine

Tipologia:

secchio

Epoca:

XVII - 1694 - 1694

Inventario:

3475

Utilizzo:

sgottare l'acqua dai bacini chiusi fissato per mezzo della catena ad una gru a bilanciere girevole detta 'cicogna' quando il bacino è stato delimitato da palificate

Descrizione:

Secchio in ferro con corregge di rinforzo impernate e catena. Prima dell'invenzione delle draghe - navi adibite all'escavazione del fondale marino di un porto - le operazioni venivano eseguite manualmente.

Delimitata la zona interessata per mezzo di una palificata in legno, sull'orlo di essa venivano montate le "cicogne": sorta di gru di legno munite da un lato di una catena che reggeva un secchio di ferro; dall'altra da un contrappeso.

Con le cicogne si svuotava il bacino dall'acqua, dopodichè gli operai provvedevano a rimuovere dal fango il fondale per mezzo di ceste portate a spalla. Anche le donne erano impegnate in questo genere di lavoro, molto faticoso.

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Titolo dell'opera:

Portolano del Mar Nero e colonie genovesi

Acquisizione:

Mercato antiquario

Autore:

Agnese, Battista

Tipologia:

mappamondo

Epoca:

XVI

Inventario:

3373

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 34; Larghezza: 47

Tecnica:

pergamena- inchiostro

Descrizione:

A partire dalla metà del XIII secolo piccole comunità provenienti da tutta la Liguria si stabiliscono sulle sponde del Mar Nero. I Genovesi d'oltremare costituiscono più dell'80% della popolazione occidentale di quelle terre. Città come Soldaia, Pera e Caffa, conoscono uno sviluppo eccezionale, si dotano di successive cinte di mura e resistono agli assalti dei Greci e dei Mongoli, per non cadere che due secoli più tardi in potere degli Ottomani, superiori in numero, navi e potenza di fuoco. I Genovesi convivono con gli Orientali, non si integrano, non li convertono e non li sottomettono come avverrà nella logica del colonialismo ottocentesco. Le colonie genovesi nel Mar Nero sono il punto d'incontro privilegiato tra il mondo della steppa e della foresta e le città mercantili mediterranee, luoghi di scambio tra le più importanti risorse locali - cera, miele, pellicce, cereali, financo schiavi – in cambio di panni, tele, vino.

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Titolo dell'opera:

Sepoltura di anziano dalla Caverna della Pollera

Tipologia:

sepoltura

Epoca:

V millennio a.C. - 4686 a.C. - 4527 a.C.

Tecnica:

osso

Descrizione:

La sepoltura era di un maschio adulto di anni 60. L'individuo senile presentava una perdita della maggior parte dei denti e riassorbimento alveolare. Il soggetto presentava: una depressione parietale sinistra con hairline fractures; un possibile trauma e tentativo di trapanazione; la clavicola destra fratturata con pseudoartrosi; becchi osteofitici a carico delle vertebre toraciche. Oltre allo scheletro è arrivata a noi solo un’ascia in pietra verde, molto consumata dall’uso, che probabilmente era uno strumento personale del defunto. L’ascia è uno strumento di lavoro abituale tra le popolazioni neolitiche, è ritenuta un simbolo maschile perché ritrovata solo nelle sepolture di uomini in questa e altre culture preistoriche. Il manufatto proviene dalla Caverna della Pollera (Finale Ligure – SV).

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Titolo dell'opera:

Cranio di "Ursus Spelaeus, Ros." dalla Caverna delle Fate

Ambito culturale:

ambito pleistocenico

Tipologia:

cranio

Epoca:

Pleistocene superiore - 100.000 a.C. - 10.000 a.C.

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 16,5; Larghezza: 25; Lunghezza: 39

Tecnica:

ossa

Descrizione:

Questo cranio è stato ritrovato nella Caverna delle Fate (SV) insieme ad altri resti ossei che documentano la presenza dell’orso delle caverne in numerose grotte preistoriche della Liguria. Più grande dei grizzly di oggi e prevalentemente erbivoro, era molto diffuso in Europa nel Pleistocene superiore. Sulle zampe posteriori poteva raggiungere anche i 3,5 metri di altezza e aveva lunghi denti e artigli affilati. Questi animali durante l’inverno si rifugiavano nelle grotte e alcuni individui potevano morire o essere cacciati dai Neanderthal: la caccia agli orsi delle caverne poteva procurare una grande quantità di carne, ma anche pellicce, tendini e grasso. A Toirano (SV), nella Caverna della Bàsura l’orso delle caverne è vissuto tra 50.000 e 24.000 anni fa e uno scavo all’interno della grotta ha permesso di scoprire un livello dove sono state individuate tracce di pelliccia fossilizzata. Al museo si può ammirare anche un grande esemplare ricomposto per intero con le ossa di individui diversi provenienti dalla Caverna del Pastore (Toirano, SV). Cranio di "Ursus Spaeleus" (ordine: carnivori; famiglia: ursidi), alquanto scheggiato e ricoperto da incrostazioni argillose. Conserva "in situ" tutti i denti tranne gli incisivi. Rinvenuto nella Caverna delle Fate (SV).

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Titolo dell'opera:

Cofanetto

Acquisizione:

Legato Luxoro 1945 - legato

Ambito culturale:

manifattura veneta

Tipologia:

cofanetto

Epoca:

1301 - 1400 - sec. XIV

Inventario:

M.G.L. 727

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 19; Larghezza: 19,6; Profondità: 13,2

Tecnica:

osso, legno, avorio

Descrizione:

Il cofanetto apparteneva ad Augusto Luxoro fin dal XIX secolo. È infatti citato nel catalogo dell'Esposizione Artistico Archeologico Industriale del 1868 come proprietà del Dottor Luxoro. Il cofanetto rientra in una produzione molto vasta ed eterogenea che in passato è stata ricondotta globalmente alla bottega di Baldassarre degli Ubriachi (o Embriachi). La critica recente ha ridimensionato il catalogo delle opere effettivamente attribuibili alla manifattura di Baldassarre ipotizzando la presenza di altre botteghe operose nell’Italia settentrionale tra la seconda metà del Trecento e la prima metà del secolo successivo, dalle quali sono usciti arredi sacri (soprattutto trittici per altari) e un gran numero di cofanetti molto diversi tra loro, non solo per forma e dimensioni, ma anche per lo stile dei bassorilievi e la datazione. L’esemplare della collezione Luxoro, databile al tardo XIV secolo, come rivela il linguaggio figurativo ancora di matrice trecentesca e i particolari degli abiti dei personaggi, si può accostare ad un piccolo gruppo di cofanetti analoghi, che rientrano in un tipo di produzione seriale, meno accurata. L’oggetto è formato da 16 placchette in osso scolpito a bassorilievo, fissate ad una struttura in legno di forma rettangolare, sormontata da un coperchio a piramide, con maniglia metallica, decorato da motivi geometrici, alla “certosina”, intarsiati in legno e avorio. Tracce di doratura si notano su alcune placchette del lato opposto a quello munito di serratura. I soggetti raffigurati comprendono quattro putti reggi scudo in posizione angolare mentre una serie di figure maschili e femminili, in coppia o isolate, campeggiano sugli altri tasselli.

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Titolo dell'opera:

Ritratto di donna egiziana con cornice

Acquisizione:

Enrico Alberto d'Albertis 1932 Genova

Autore:

Rossi, Alberto

Epoca:

1904 - 1904

Inventario:

CDA 2743

Misure:

Unità di misura: cm
Altezza: 103
Larghezza: 78

Provenienza (nazione):

Egitto

Descrizione:

L’artista, disegnatore e pittore formatosi presso l’Accademia Albertina di Torino, trascorse lunghi soggiorni in Egitto dal 1896 al 1914 e successivamente compì diversi viaggi in Medio Oriente e Grecia, raffigurando nei suoi dipinti e disegni paesaggi e personaggi dei luoghi da lui visitati. Rossi si ricollega alla pittura orientalista del secondo Ottocento, attenta a rappresentare in modo realistico i soggetti orientali. Il motivo decorativo che caratterizza la cornice si ispira fedelmente a modelli molto diffusi nell’arte islamica, in particolare in area andalusa e marocchina, ma ben noto anche in Egitto. Figura anche tra i disegni adottati nell’ambito della bottega di Giuseppe Parvis per decorare i mobili e, più in generale, ricorre nella produzione di gusto orientalista del tardo Ottocento. Dato che il dipinto inserito nella cornice è stato eseguito durante il soggiorno dell’autore al Cairo, è possibile ipotizzare che il manufatto provenga da una bottega egiziana della stessa epoca, specializzata nella produzione di oggetti in stile arabo. Il disegno raffigura una donna con il busto rivolto parzialmente di tre quarti e con lo sguardo abbassato. Indossa un ampio mantello nero che le copre il capo, ha la fronte coperta da un fazzoletto giallo-arancio e porta orecchini di grandi dimensioni, una collana e un braccialetto. La mano sinistra è appoggiata su un’anfora.
La cornice, a profilo lineare, ha gli angoli caratterizzati da quattro baccellature semisferiche a rilievo entro una riserva quadrata. Presenta su tutti i lati una decorazione formata da un complesso disegno geometrico, con al centro una stella a otto punte, raccordata ad un intreccio poligonale leggermente a rilievo, ricavato incidendo la superficie del legno. Questo motivo si ripete, sfalsato e tagliato orizzontalmente, formando un’unica fascia decorativa.

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Titolo dell'opera:

Cofano

Acquisizione:

Enrico Alberto d'Albertis 1932 Genova

Epoca:

1701 - 1900

Inventario:

CDA 2473

Misure:

Unità di misura: cm
Altezza: 30
Larghezza: 48
Profondità: 30

Provenienza (nazione):

Turchia

Descrizione:

Il cofanetto rientra in un tipo di produzione assai diffusa in ambito ottomano tra XVII e XIX secolo. Una decorazione analoga, sia per l’impianto del disegno, ispirato a modelli geometrici di gusto islamico, sia per l’utilizzo di madreperla e tartaruga alternati, caratterizzava anche i piccoli tavoli da scrittura turchi, come l’esemplare seicentesco del British Museum (inv. 1991, 0717.2). Esistono numerosi cofanetti assai simili a quello in oggetto, per la maggior parte datati al XVIII secolo, come, ad esempio, un pezzo del Museo Benaki (inv. ΓΕ 34044) proveniente dall’Asia Minore e usato anche come contenitore di ostie per la Messa. Vari cofanetti dello stesso genere sono diffusi sul mercato antiquario; tra questi si può citare un pezzo passato da Christie’s in un’asta presso la Galerie Gismondi di Parigi del 12 marzo 2024, che si differenzia dall’opera del Castello solo per l’assenza dei piedini, che però, anche in considerazione della loro forma molto diversa rispetto a quella dei sostegni presenti sugli altri cofani, potrebbero essere frutto di un’aggiunta posteriore. Il cofanetto, a sezione rettangolare e con coperchio troncopiramidale, poggia su quattro piedini a cipolla. Le superfici esterne, ripartire in scomparti quadrangolari da sottili cornici lignee, sono interamente rivestite da tessere in madreperla e in tartaruga, alternate tra loro, di forma triangolare o romboidale, con le quali sono realizzate composizioni geometriche ben diversificate in ognuno degli scomparti. Sul fronte è fissata una serratura in metallo con bocchetta romboidale.

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Titolo dell'opera:

Narghilè

Acquisizione:

Enrico Alberto d'Albertis 1932 Genova

Epoca:

1801 - 1900

Inventario:

CDA 2703

Misure:

Unità di misura: cm
Altezza: 29
Diametro: 36
Lunghezza: 140
Varie: Lunghezza tubo: cm 140.

Provenienza (nazione):

Iran

Descrizione:

L’oggetto, destinato forse a un pubblico non elitario, come testimoniano i materiali usati per il fornello e il bocchino, si ricollega alla produzione di area ottomana, anche se probabilmente il recipiente in vetro proviene da una manifattura europea ed è stato poi assemblato alle altre parti nell’ambito di una bottega turca. Analogie con un narghilè ottomano con la parte in vetro di produzione boema, comparso recentemente sul mercato antiquario (Oriental Art Auctions 2024). Il narghilè è formato da un recipiente in vetro con corpo sferico e lungo collo rastremato, percorso da fitte nervature verticali. Una serie di baccellature con la parte interna dorata, profilate di rosso e di verde decora la parte inferiore del recipiente, mentre una serie di analoghe baccellature dorate, scandite da sottili linee rosse circonda il collo, sul quale si innesta il fornello in ottone con cannello in legno. Il tubo, parzialmente fasciato di feltro e di tela di cotone, ricoperta da una garza, termina con un bocchino in legno.

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Titolo dell'opera:

Moschetto a pietra focaia all’orientale

Acquisizione:

Enrico Alberto d'Albertis 1932 Genova

Epoca:

1801 - 1850

Inventario:

CDA 2757

Misure:

Unità di misura: cm
Lunghezza: 97.5

Provenienza (nazione):

Turchia

Descrizione:

L’arma presenta analogie, sia per gli elementi decorativi, sia dal punto di vista tecnico, con la produzione di armi da fuoco turche, ampiamente diffuse nell’ambito dell’Impero Ottomano. Si notano elementi similari in un moschetto del Victoria & Albert Museum (inv. 978-1884), di fabbricazione turca ma di probabile provenienza egiziana. L’arma presenta una cassa in legno, rivestita all’estremità in avorio e nella porzione successiva da un feltro rosso di lana, ricamato a rilievo con un motivo a ramage in filato metallico molto ossidato. Una lamina d’argento, decorata da elementi a goccia in corallo alternati a sferette in argento, entrambi incastonati in alveoli d’argento, separa le due parti. In corrispondenza dell’impugnatura è annodata una sciarpa in crêpe di seta gialla i cui due capi terminano con nappe e con pendenti in filigrana d’argento. Il meccanismo in metallo è un acciarino a pietra focaia del tipo "miquelet" ed ha una ricca decorazione ageminata in oro, costituita da tralci vegetali stilizzati. La zona adiacente al meccanismo è decorata da una serie di lamine d’argento con alveoli in rilievo, in cui sono incastonati coralli e sferette d’argento. La canna è scandita da sette fasce orizzontali in lamina d’argento incise a motivi fitomorfi.

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