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Titolo dell'opera:

Banconota convertibile in argento da 100 yen detta "di Daikokuten"

Autore:

Chiossone, Edoardo

Tipologia:

banconota

Epoca:

1885 - 1885 - XIX

Inventario:

IR 1940-007

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 11.5; Larghezza: 18.6

Tecnica:

carta stampaggio

Descrizione:

A Edoardo Chiossone, disegnatore e incisore, si devono le emissioni delle carte valori del Giappone moderno; produsse circa 500 lastre per banconote, francobolli, titoli ed altre emissioni statali, fece inoltre importare dall'estero macchine industriali che garantivano un alto livello di stampa e istruì al loro uso i dipendenti giapponesi del Poligrafico.
Durante il suo lavoro studiò approfonditamente l’iconografia giapponese, necessaria al suo mestiere di disegnatore e incisore, e ciò aumentò significatamene il suo interesse per l’arte; sui libri illustrati del “Kyōsai Gadan”, il Trattato di Kawanabe Kyōsai sulla pittura (anch’esso presente nella nostra collezione) si trovano, a margine, moltissime annotazioni di Chiossone che ne studiava le raffigurazioni e i motivi. Si pensa che Edoardo Chiossone conoscesse personalmente Kyōsai (1831-1889), a lui contemporaneo, di cui possedeva svariate opere.
Lo studio sull’iconografia lo portò a prediligere un personaggio in particolare: Daikokuten. Banconota convertibile in argento da 100 yen detta "di Daikokuten".
Daikokuten è una divinità associata alla fortuna, alla ricchezza e alla prosperità, riconoscibile dal tipico cappello piatto, da un sacco che porta con sé e soprattutto dallo uchide no kozuchi, un martello magico in grado di realizzare qualsiasi desiderio.
La figura di Daikokuten ricorre in molte opere presenti nella collezione Chiossone (stampe, dipinti, bronzi, maschere decorative e inrō); si può dire che fosse certamente una figura amata da Edoardo Chiossone. La sua caratteristica “capacità di produrre ricchezza” lo fece impiegare anche come soggetto per la banconota convertibile in argento da 1 yen detta appunto "di Daikokuten" in cui il personaggio è raffigurato secondo un’iconografia tradizionale, spesso ricorrente in stampe e dipinti: con un sacco e un martello, seduto su sacchi di riso, a loro volta simbolo di abbondante raccolto e circondato da topi, anch’essi attirati dall’abbondanza di granaglie. La rotondità fisica del personaggio sottolinea ancora una volta la sua prosperità. Daikokuten era senz’altro un simbolo per rappresentare un futuro positivo per il Giappone in un momento di grande cambiamento, ma anche una connessione con il passato grazie alla sua iconografia tradizionale, si pone quindi come un simbolo di tradizione su una banconota nuova, moderna realizzata con tecnica di stampa all’avanguardia che permette sfumature di colore non possibili in precedenza. Non solo; la banconota riporta anche in inglese la dicitura di convertibilità in argento, un ulteriore indice di un’apertura del Giappone all’internazionalità.

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Titolo dell'opera:

Bottiglia da sake

Ambito culturale:

ambito giapponese

Tipologia:

bottiglia

Epoca:

1701 - 1710 - XVIII

Inventario:

C-3

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 18; Diametro: 11.5

Tecnica:

porcellana- pittura

Descrizione:

Bottiglia da sake (tokkuri) a corpo piriforme, priva di piede e con un breve collo cilindrico. Una copertura bianco-azzurrina riveste l'intera supeficie esterna ad eccezione della base, caratterizzata da un fondo camoscio scuro sul quale è impressa una spirale. Sul corpo compare un motivo yoraku, composto da sottili grane incrociate a formare delle losanghe ornate con nappe e pendenti. Interrompono la maglia due riserve verdi lobate con kotubuki a cui si alternano altre due cartelle a ventaglio cinese contenenti un drago stilizzato e privo di artigli. Sul collo, su fondo blu, compaiono corolle di crisantemo e foglie. Questa tipologia è nota come "porcellana di Arita" o "Imari", a decorazione kakiemon.

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Titolo dell'opera:

Armatura, lavoro di Myochin Mune-Tsugu

Autore:

Myōchin, Mune-Tsugu

Tipologia:

armatura giapponese

Epoca:

1591 - 1600 - XVI

Inventario:

AA-4

Tecnica:

ferro, crine, pelle, seta, tessuti

Descrizione:

L’intera armatura riflette l’attenzione maniacale alla simbologia che caratterizzava l’epoca. Ogni dettaglio – dal drago sulla corazza ai petali di iris dell’elmo – serviva non solo a proteggere fisicamente il guerriero, ma anche a rappresentarne lo spirito e il rango. La decorazione non è puramente estetica: i motivi scelti avevano anche un significato spirituale e simbolico, conferendo al guerriero una sorta di aura protettiva. Inoltre, l’uso di materiali preziosi come il metallo dorato e la seta testimonia l’importanza dell’estetica persino in un contesto bellico. Corazza del tipo Hotoke-do, caratterizzata da una superficie liscia e compatta. Sulla corazza spicca un grande drago color oro, simbolo di forza, protezione e potere divino. Sono presenti elmo e copri nuca, maschera con crine e gli elementi di protezione per gambe e braccia.
L'elmo è un Hoshi Suji kabuto con maedate mitsu kuwagata.
Il coppo (hachi) è formato da lastre a forma di spicchi rivettati con margini costolati e bugne sferiche, con rivetti (shiten no byō) sulla calotta. Sulla cima del coppo è presente il foro (tehen no ana o hachimanza) con relativa ghiera ornamentale (tehen no kanamono) fiorata in ottone. Sul retro è presente una lastra piatta decorata con un bordo dorato e un gancio (agemaki no kan) con relativo nodo decorativo (agemaki). Sono presenti gli shinobi no o, lacci di corda utilizzati per fissare l’elmo al mento. La visiera (maebashi) ha cinque piccoli rivetti appuntiti e tre rivetti fiorati più grandi (sanko no byō). È presente una decorazione con motivo di petali di iris (shobu-gawa) con un inserto in pelle lavorata e come bordatura un filato di seta di colore blu, verde, bianco e oro e un bordino (fukurin) di metallo dorato ritorto su sé stesso. Infilato in un kuwagatadai, rivettato alla visiera in metallo dorato per sostenere le piatte corna kuwagata con una spada in verticale, dorato al centro del quale vi è uno tsunomoto (manca l’ulteriore maedate). Sono presenti ampi fukigaeshi con decorazione con motivo di petali di iris (shobu gawa), rivetti appuntiti decorativi, inserti di pelle scamosciata e stemma (mon) a sette cerchi concentrici all’interno di un cerchio più ampio (maru ni shichō丸に七曜), uno stemma che rappresenta una stella a cinque punte sotto forma di cerchio. Shikoro composto da tre ampie lamelle laccate, tenute assieme da lacci color rosso. La maschera è una me no shita men, a protezione della parte inferiore del viso, con baffi di crine. La protezione per la gola (yodare kake o tare) è formata da quattro lamelle ondulate tenute assieme con lacci blu cupo.

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Titolo dell'opera:

Tsuba con conchiglie

Ambito culturale:

ambito giapponese

Autore:

Echizen Ju Kinai (Scuola Kinai)

Tipologia:

paramano

Epoca:

1701 - 1800 - XVIII

Inventario:

T-568

Tecnica:

Ferro patinato inciso e traforato

Descrizione:

Tsuba” (鐔 o più comunemente 鍔), guardia della spada/paramano. La tsuba era una parte indipendente e rimuovibile dal corpo della katana (刀) che sì, aveva come scopo originale quello di salvaguardare la mano di chi impugnava la spada, ma che diventò nel tempo sempre più un indicatore di status sociale. Si tratta di una “semplice” placca metallica di cui si hanno tracce risalenti alla fine del periodo Kofun (250 a.C.-538 d.C.), ma che a partire dal periodo Edo (1600-1868) assunse forme sempre più articolate e particolari. Se già tra il XIV e il XV si iniziarono a usare leghe a base di metalli morbidi al posto dell’acciaio per la loro forgiatura, è dal periodo Edo che presero la funzione di “indicatore di status” in quanto, quando la katana era riposta nel suo fodero (鞘, “saya”), erano l’unica parte visibile assieme all’impugnatura (柄, “tsuka”). Nella loro fabbricazione si introdusse l’uso di innesti d’oro o d’argento e si iniziarono a raffigurare elementi naturali, mitici o fantastici sulla superfice degli tsuba, che assunsero quindi forme sempre più articolate. Questo vale in particolare per la parte “esterna” o “superiore” dello tsuba detta ”omote” (表). Tsuba con festone di diciotto conchiglie.>br>Il motivo a conchiglie appartiene alla scuola Kinai 記内家, attiva in Giappone tra il XVII e il XVIII secolo. Questa scuola era affiliata alla famiglia di fabbri Yasutsugu (康継), che produceva le lame per i Tokugawa. La caratteristica distintiva dello stile Kinai è il traforo modellato a tondo ed eseguito con grande maestria. I soggetti più ricorrenti sono elementi naturalistici, e, in particolare, draghi. Questa scuola è famosa, inoltre, per le sue incisioni su lama.

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Titolo dell'opera:

Veduta del Monte Fuji nel "piccolo sesto mese"

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1837 - 1837 - XIX

Inventario:

P-0341

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 32.1; Larghezza: 54.8; Varie: Altezza montatura: 110 cm
Larghezza montatura: 66.8 cm

Tecnica:

inchiostro e colori su seta

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La Rinascita della Pittura Giapponese. Vent'anni di restauri al Museo Chiossone di Genova - Genova, Museo d'Arte Orientale Edoardo Chiossone - 28/02 - 29/06 2014

Descrizione:

La montagna giapponese per eccellenza è il Fuji(富士山, Fuji-yama) un vulcano alto 3776 m situato sull'isola giapponese di Honshū; Con i suoi 3.376 mt. rappresenta la montagna più alta del Giappone e viene considerato una delle "tre montagne sacre" (三霊山, Sanreizan) del Paese insieme al monte Tate e al monte Haku, a tal punto che gli shintoisti considerano doveroso almeno un pellegrinaggio sulle sue pendici una volta nel corso della vita. La sua cima è innevata per circa 10 mesi l’anno. Dipinto con montatura originale in seta: ichimonji in kinran a fondo giallo-aranciato con girali a stelo singolo di fiori hōsōge e fogliami; chūberi e jōge dati da un paramento unico in donsu monocromo blu-nerastro con grandi disegni di corolle di susino stilizzate; jikushi in avorio tornito. L’artista riprende la celeberrima immagine del Monte Fuji creata da Hokusai per la serie di stampe ukiyoe "Trentasei vedute del Fuji" (1830-1833); la montagna ha la cima che si staglia a destra e scende verso sinistra in un dolce declivio incurvato proprio come nelle stampe di Hokusai. Sul lato sinistro sono rappresentate foreste di conifere, come in una delle varianti di Hokusai “il Fuji rosso” e il “Fuji bianco”, mentre la nube anulare fascia le pendici con un cappuccio di neve che ricopre la cima sono innovazioni di Hokkei. L'autore della poesia kyōka 狂歌, calligrafata a sinistra, è Garyōen Umemaro, capo del circolo di poesia kyōka Hanazon-ren. I versi recitano: Ecco una montagna che non conosce stagioni Il Fuji è ammantato con la neve della veste estiva Nel tepore del piccolo sesto mese [decimo mese]. [Firmato] Garyōen Umemaro, ottavo mese, autunno dell’anno del gallo,ottavo del Periodo Tempō Per Umemaro il Fuji indossa “la neve delle veste estiva” nel “tepore del piccolo sesto mese” un nome anticamente attribuito al decimo mese del calendario tradizionale, in cui le giornate autunnali, placide e fresche, assomigliavano a quelle di inizio estate (del sesto mese). Questo genere poetico giapponese, fiorito principalmente nel periodo Edo, tratta di una forma di poesia umoristica e satirica, spesso caratterizzata da giochi di parole e un tono scherzoso. Il significato sta nel contraddire giocosamente la tradizione classica, in particolare invertendo il senso dell'antico attributo 'toki shiranu Fuji', “il Fuji che non conosce stagioni”, espressione derivata da un waka (poesia giapponese) dell'Ise Monogatari che descrive il Fuji come perennemente coperto di neve, anche in estate.

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Titolo dell'opera:

Usi e costumi popolari del Capodanno visti per strada

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1720 - 1720 - XVIII

Inventario:

P-0324

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 34.2; Larghezza: 471.4

Tecnica:

inchiostro, colori e oro su seta

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La Rinascita della Pittura Giapponese. Vent'anni di restauri al Museo Chiossone di Genova - Genova, Museo d'Arte Orientale Edoardo Chiossone - 28/02 - 29/06 2014

Descrizione:

Rotolo dipinto con montatura nuova in seta: hyōshi in kinran a fondo verde-azzurro con minuto motivo geometrico a scacchiera e rondelle con foglie; mikaeshi in carta decorata con kin-sunago; jikushu in legno di ciliegio naturale tornito e decorato in lacca makie con fiori e petali di ciliegio. Formato da quattro scene, il rotolo si apre con un albero di susino in fiore, davanti al quale fa il suo spettacolo un burattinaio ambulante circondato da tre bambini. Lì accanto, tra un ciliegio fiorito e un pino, un manzai vestito di un suō grigio chiaro a disegni verdi e blu, con il copricapo haberi eoshi e un ventaglio pieghevole in mano, danza al suono del tamburello da spalla del saizō e del flauto shakuhachi di due komusō. Assistono al ballo tre ragazzini e una donna con tre bambine. La seconda scena è formata da tre gruppi: due anziani venditori di utensili da thé che portano rami di pino augurali; due fanciulli che si girano a guardare uno yamabushi che sta suonando una conchiglia ed è in compagnia di un attendente che porta sulla schiena un enorme cappello a forma di foglia di loto; un elegante attore effemminato accompagnato da un ragazzino e seguito da un servitore che trasporta un kimono. L'apertura del terzo episodio è segnata da un susino rosso. Un prete shintoista avanza con un bastone rituale munito di cartigli. Gli viene incontro una cortigiana che tiene per mano un bambino ed è seguita da un ragazzino effemminato e da una cameriera con un infante in spalla. Il gruppo desta la curiosità di un ambulante. A breve distanza, seguita da due cameriere che portano fagotti, una dama incede coprendosi il capo con una mantiglia e si gira all'indietro in direzione di un uomo con un'enorme maschera di leone cinese che sta per iniziare una danza al ritmo del kankaradaiko. Nei pressi stanno in ascolto due uomini e un bambino ciechi e un suonatore di liuto che si allontana a lunghi passi, con lo strumento in spalla avvolto in un telo bianco. La quarta scena inizia presso alcuni ciliegi in fiore. Una donna con i capelli ravvolti in una cuffia grigia incede insieme a un bambino e a una bambina, mentre in senso opposto procede una sacerdotessa shintoista accompagnata da un servo che porta un bauletto a stanga. Per ultime vengono tre Ōharame che trasportano fascine di legna da ardere. Chiude la composizione un ruscello che serpeggia tra rive erbose.

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Titolo dell'opera:

Parodia al femminile dei Sette Filosofi della Foresta di Bambù

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1830 - 1844 - XIX

Inventario:

P-0316

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 55; Larghezza: 119; Varie: Altezza montatura: 168.3 cm
Larghezza montatura: 128.3 cm

Tecnica:

inchiostro e colori su seta

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La Rinascita della Pittura Giapponese. Vent'anni di restauri al Museo Chiossone di Genova - Genova, Museo d'Arte Orientale Edoardo Chiossone - 28/02 - 29/06 2014

Descrizione:

I sette saggi sono sette letterati taoisti cinesi del III secolo che, rifiutando il pensiero confuciano e le pratiche sciamaniche wu, si ritirarono in un eremo per essere indipendenti e perpetuare la filosofia wuwei. A partire dal XVIII secolo, in Giappone, cominciano a comparire delle raffigurazioni parodistiche di questo tema, dove ai sette saggi sono sostituite sette belle donne o cortigiane, come in questo caso. Queste donne, di diversa estrazione sociale, sono raffigurate ognuna in una posa che fa risaltare al meglio i punti di forza di ogni abito (dalla sontuosa veste della cortigiana decorata con una tigre, attraverso eleganti kimono fino a semplici vesti da bagno, yukata) ciò fa supporre che il dipinto sia stato commissionato da una sartoria come stratagemma pubblicitario, per mostrare la qualità e l’ampia gamma di prodotti in vendita, accessibili a tutte le classi. La donna al centro, che tiene in mano una tazza da tè, indossa distrattamente una veste yukata a fondo azzurro su cui spiccano dei pipistrelli blu, stilizzati e in volo. Il fatto che artista e committente abbiano deciso di pubblicizzare proprio questo motivo, testimonia quanto fosse richiesto e popolare. Dipinto con montatura originale Tamato rinbo in seta: ichimonji in atsuita policromo con motivo geometrico Bishamon-kikkō; chūberi in tessuto operato a fondo blu con girali e peonie; jōge in raso color avorio; jikushu in legno e lacca bruna urumi urushi intarsiata in madreperla iridescente sottile con fiori hōsōge. L'opera raffigura sette donne in un'ampia stanza chiusa ad angolo sul lato sinistro da un grande paravento a due ante, dipinto a inchiostro con alcune piante di bambù presso un torrente. Quattro figure sono sedute mentre le restanti sono stanti. Si tratta di una raffigurazione in chiave parodistica dei Sette Filosofi della Foresta di Bambù. Il soggetto è preso a pretesto per rappresentare tipi femminili di diversa estrazione sociale: una oiran, una ragazza di città che si accinge a scrivere una poesia su un cartiglio tanzaku, una geisha con lo shimasen, le probe e benestanti mogli di un mercante e di un artigiano, due cameriere.

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Tigre fra i bambù che guarda la luna piena

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1818 - 1818 - XIX

Inventario:

P-0277

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 103.7; Larghezza: 33.1; Varie: Altezza montatura: 182 cm
Larghezza montatura: 44 cm

Tecnica:

inchiostro e colori su seta

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La Rinascita della Pittura Giapponese. Vent'anni di restauri al Museo Chiossone di Genova - Genova, Museo d'Arte Orientale Edoardo Chiossone - 28/02 - 29/06 2014

Descrizione:

D'antica origine cinese, il tema della tigre fra i bambù simboleggia il forte che trova riparo presso il debole ed è basato su un detto popolare secondo il quale solo questo animale è in grado di penetrare nel folto di una foresta di bambù. Siccome la tigre non è un animale autoctono del Giappone, i pittori non potevano osservarla dal vero, ecco perché il modo in cui la tigre è qui rappresentata non è realistica: l'iconografia locale è in parte derivata dalla pittura cinese e coreana, in parte è frutto di fantasia. Simbolo di forza e di coraggio nella tradizione cinese, la tigre è ritenuta capace di combattere e deviare le potenze negative ed è portatrice di una fisionomia leggendaria, mitologica e cosmologica. Annoverata tra i shishin, le "Quattro Creature Sacre" (le altre tre sono il drago, l'uccello vermiglio, la tartaruga con serpente), nella cosmografia arcaica (che comprendeva i punti cardinali, le stagioni, i colori, gli elementi naturali e le stelle) la tigre è associata all'occidente, all'autunno, al colore bianco, al vento e alle costellazioni di Orione, del Toro e di Andromeda. Inoltre, nello zodiaco è il terzo animale eponimo dei sottocicli di dodici anni, motivo per cui la datazione del dipinto si orienta intorno al 1818, anno della tigre e ultimo anno dell'era Bunka. Dipinto con montatura originale Yamato hyōgu in seta: ichimonji e fūtai in kinran a fondo nocciola con disegni di onagadori in volo alternati a fiori; chūberi in donsu bicromo a fondo verde con disegni color avorio di steli e foglie di asaro; jōge in shikeginu color crema; jikushu in avorio tornito. L'opera raffigura una tigre accosciata presso due canni di bambù disposte diagonalmente. L'animale guarda il cielo nel quale splende un'enorme luna piena. Nel dipinto ricorrono le tipiche sembianze delle tigri dipinte in Giappone: naso stretto e molto schiacciato, orecchie minuscole e aguzze, occhi enormi, zampe grosse e artigliate.

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Titolo dell'opera:

Trio di suonatrici di kokyū, koto e shamisen

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1818 - 1830 - XIX

Inventario:

P-0256

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 29.7; Larghezza: 59; Varie: Altezza montatura: 93 cm
Larghezza montatura: 62.9 cm

Tecnica:

inchiostro e colori su carta

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Descrizione:

L’opera è attribuita Katsushika Ōi, figlia del famosissimo Katsushika Hokusai. I lavori di Katsushika Ōi si distinguono per degli elementi di innovazione rispetto alla tradizione, che era caratterizzata da figure stilizzate e colori piatti: qui al contrario si ha l’utilizzo di giochi di luci e ombre, la sperimentazione con la prospettiva occidentale e la dinamicità delle scene, data dall'andamento curvo delle figure e dall’inusuale decisione di rappresentare una delle suonatrici di schiena, dando ancora più naturalezza e profondità alla scena.
Come la maggioranza delle opere di Ōi il dipinto non è firmato ma la tecnica, la qualità pittorica e il peculiare chiaroscuro rendono sicura la sua attribuzione alla pittrice. Dipinto con montatura non classificata costituita da un unico paramento in seta canneté con disegni di peonie broccate in argento; bordino rosso con disegni in oro a contorno del dipinto; jikushu in legno e lacca rossa screziata di nero tipo Negoronuri. Un trio di suonatrici siede in un interno, esibendosi in un concerto sankyoku di musica tradizionale, genere musicale giapponese d’insieme composto dal trio strumentale kokyū, koto e shamisen. L'ambiente è pervaso da una penombra suggestiva e rischiarato da un'invisibile sorgente luminosa che getta bagliori sugli strumenti, sui corpi e sui volti incipriati delle musiciste. Presa dalla musica, la suonatrice di kokyū, sulla sinistra, tiene il viso inclinato e sorride: indossa un kimono celeste cosparso di corolle di susino stilizzate sopra una sottoveste scarlatta. La suonatrice di shamisen, a destra, probabilmente una geisha d'età matura, indossa un sobrio abito a quadretti bianchi, grigi e neri. La cortigiana d'alto rango che suona il koto al centro della scena è vista di spalle, colta mentre muove agilmente le dita sulle corde. Le ampie falde della veste e dell'obi sono immerse in una zona d'ombra in primo piano. La luce batte sul lato destro della figura, attraversando i numerosi spilloni infilati a raggiera nell'acconciatura.

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Titolo dell'opera:

Passeggio al fresco della sera sul Fiume Kamo presso la Shijō a Kyōto

Tipologia:

dipinto

Epoca:

1801 - 1818 - XIX

Inventario:

P-0240

Misure:

Unità di misura: cm; Altezza: 95.8; Larghezza: 33.1; Varie: Altezza montatura: 154.3 cm
Larghezza montatura: 37.1 cm

Tecnica:

inchiostro e colori su seta

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La Rinascita della Pittura Giapponese. Vent'anni di restauri al Museo Chiossone di Genova - Genova, Museo d'Arte Orientale Edoardo Chiossone - 28/02 - 29/06 2014

Descrizione:

Ancor oggi punto nevralgico del centro di Kyōto, all'inizio del XVII secolo il ponte della Shijō divenne il punto focale della nuova cultura dei chōnin, con particolare riguardo all'insorgenza del "Kabuki di donne" (onna Kabuki), la prima forma di teatro popolare. Proprio in quel tratto, il letto asciutto dal Kamogawa si trasformava durante l'estate in uno spazio pubblico adibito ad ogni sorta di intrattenimenti, tra cui le esibizioni della compagnia di Okuni, la diva iniziatrice del Kabuki, la cui impresa teatrale è commemorata da una statua moderna a lei dedicata, posta sulla riva sinistra presso l'imbocco del ponte. Dipinto con montatura originaria fukuro minchō shitate in shikeginu color nocciola; jikushu in avorio tornito. Raffigura, con colori tenui e freddi appena ravvivati da alcuni tocchi accesi, la passeggiata lungo il fiume Kamo e, nello specifico, il percorso passante per il ponte Shijō, lungo la quarta strada di Kyōto. Una grande folla si accalca lungo il tragitto.

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